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    Discussione: Quando è nata la lingua napoletana scritta?

          

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      Carmine
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      Quando è nata la lingua napoletana scritta?

      Date e tappe dell’ortografia napoletana


      • 960 – Un anonimo scrivano redige il Placito di Capua. Il primo documento in Italia non scritto in latino ma in volgare… quello napoletano.
      • 1268 – Matteo Spinelli, sindaco di Giovinazzo (Bari), scrive i Diurnali, una cronaca degli avvenimenti più importanti del Regno di Sicilia dell’XI secolo. La prima opera scritta in “volgare del sud Italia”.
      • 1303 – Dante scrive il trattato De vulgari eloquentia (L’eloquenza in lingua volgare), citando più volte versi nel “volgare del sud Italia”, definendolo pugliese.
      • 1339 – Boccaccio scrive l’Epistola napoletana (scritta in napoletano). Il primo testo di letteratura dialettale in prosa.
      • Si inizia a scrivere con più frequenza in napoletano ma, poiché non esiste alcuna grammatica a cui far riferimento, ogni autore impara attingendo da ogni altro autore (non solo napoletano ma anche toscano, siciliano, ecc.). Avviene così una sorta di “osmosi ortografica” in cui i vari scriventi si correggono osservandosi l’un l’altro. Tale modus operandi ha portato, col tempo, al consolidarsi dell’ortografia napoletana.
      • 1442 – Alfonso V d’Aragona (detto il Magnanimo) viene incoronato Re di Napoli. Il napoletano sostituisce il latino nei documenti ufficiali: diviene la lingua ufficiale del Regno di Napoli.
      • 1537 – Viene stampata (o ristampata?) la prima raccolta stampata di Villanelle napoletane, a cura di Giovanni da Colonia. La Villanella è considerata come la mamma della canzone napoletana moderna, grazie ad essa il napoletano arriva alle corti di tutta Europa.
      • 1583 – Nasce l’Accademia della Crusca. Un gruppo di letterati toscani si riunisce in Accademia linguistica e fissa le regole della lingua fiorentina (futura lingua italiana). Gli autori napoletani accolgono quelle regole, risolvendo così alcuni dei nostri problemi ortografici. Ma ne restano ancora altri non risolti, problemi fonetici che – non essendo presenti nel toscano – non erano stati esaminati.
      • 1600 – Grazie a famosi poeti e novellisti del calibro di Giambattista Basile e Giulio Cesare Cortese il napoletano continua la sua ascesa creando terreno fertile per la nascita della commedia dialettale e dell’opera buffa (con cui il napoletano consacra la sua presenza nelle corti di tutta Europa).
      • 1728 – Francesco Oliva, noto librettista di opere buffe, scrive una Grammatica della lingua napoletana. Il primo tentativo di codificare la scrittura della nostra lingua.
      • 1779 – L’abate Ferdinando Galiani, nel suo trattato Del dialetto napoletano del 1779, ritiene che Dante si fosse sbagliato e che il volgare che aveva definito “pugliese” in realtà era il napoletano: Si disse poesia ‘siciliana’ non perché nata in Sicilia ma perché nata alla corte di Federico II, Re di Sicilia, poeta anch’egli ed amante di poeti e trovatori. E si disse ‘pugliese’ non perché fosse nata in Puglia ma perché, prima della dominazione angioina, la Puglia era lo Stato più importante dell’Italia meridionale.
      • 1861 – A seguito dell’Unità d’Italia diventa obbligatorio – cioè… legge! – l’insegnamento della lingua toscana/italiana in ogni scuola della Penisola. La lingua napoletana (così come ogni altra lingua dello Stivale) passa in secondo piano. Inizia così un vero e proprio eccidio dei dialetti e delle lingue minoritarie: chi ha difficoltà a scrivere, a leggere e ad esprimersi in italiano… riceve il poco nobile appellativo di “cafone”. “Moda” perpetrata per tutto il XX secolo.
      • 1880 – Quasi come segno di ribellione… nasce la canzone classica napoletana. Con canzone “classica” (classico significa “il meglio che c’è”) si intende quella canzone scritta in una lingua dai suoi “migliori poeti e musicisti”. Napoli è l’unica città al mondo ad avere una “canzone classica”.
      • A “capo” di quei poeti c’era Salvatore Di Giacomo, ben presto tutti gli altri si allineano ben volentieri al modo di scrivere del “maestro”. Grazie alla canzone classica napoletana la nostra lingua viene conosciuta a livello mondiale.
      • 1939 – Iniziano le prime trasmissioni sperimentali della EIAR, la TV nazionale italiana. Continua l’espansione della lingua toscana/italiana, a danno delle lingue minoritarie.
      • 1945 – Arrivano gli Americani a liberarci e con la liberazione ci portano anche la loro cultura. Tanti giovani napoletani si innamorano delle nuove tendenze musicali (rock, pop, ecc.). Inizia, quindi, un allontanamento dalla nostra canzone e dalla nostra lingua.
      • 1954 – Partono ufficialmente le trasmissioni televisive della TV nazionale italiana, adesso ribattezzata RAI. Inizia la vera divulgazione di massa della lingua italiana. Tanti giovani napoletani si innamorano delle canzoni in lingua italiana. Quindi prosegue quell’allontanamento dalla nostra lingua. Il “martellamento” anti dialetto incalza. Inconsciamente cresce un rifiuto della propria lingua madre. I napoletani della piccola e della media borghesia si vergognano di parlare in napoletano.
      • 1968 – La famosa rivoluzione del ’68 causa quasi una scissione fra il vecchio e il nuovo. Nel “vecchio” c’è anche la canzone classica napoletana, nel nuovo ci sono gli Osanna, la Nccp, Pino Daniele, i fratelli Bennato, ecc.
      • 1971 – Si conclude definitivamente il Festival della canzone napoletana e, con esso, anche il ciclo della canzone classica napoletana e l’abbondante produzione di poetiche di altissimo livello. La sceneggiata degli inizi del ‘900, grazie ad artisti del calibro di Mario Merola, rivive una seconda giovinezza. Di pari passo emerge prorompente un nuovo filone musicale che racconta dell’ambiente malavitoso o comunque della vita dei meno abbienti (i suoi interpreti saranno in seguito definiti neomeledici). Il “dialetto” resta, quindi, caratteristica distintiva dei ceti più bassi della popolazione.

      1971 – Si conclude definitivamente il Festival della canzone napoletana e, con esso, anche il ciclo della canzone classica napoletana e l’abbondante produzione di poetiche di altissimo livello. La sceneggiata degli inizi del ‘900, grazie ad artisti del calibro di Mario Merola, rivive una seconda giovinezza. Di pari passo emerge prorompente un nuovo filone musicale che racconta dell’ambiente malavitoso o comunque della vita dei meno abbienti (i suoi interpreti saranno in seguito definiti neomeledici). Il “dialetto” resta, quindi, caratteristica distintiva dei ceti più bassi della popolazione.
      Ultima modifica di stangger5; 04-21-2020 alle 16:50

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